Santa Venera Vergine,Martire e Predicatrice di Grazia Maria Schirinà

Santa Venera

Vergine, Martire e Predicatrice

di Grazia Maria Schirinà

Vergine, martire e predicatrice viene definita Santa Venera in tutti i lezionari a noi pervenuti. Pare che nel 143 sia stata martirizzata sotto Antonino Pio, esattamente il 26 di luglio.Vergine purissima, predicatrice evangelica e martire gloriosissima la dice un “Leggendario delle Santissime Vergini” ristampato in Palermo da Giuseppe La Barbera e Tommaso Rummolo e Orlando, nel 1678,  che individua il luogo di nascita  a Locri, in Calabria. In tale testo si fa anche riferimento al giorno della sua nascita che sarebbe avvenuta intorno all’anno 100 di venerdi: da qui il nome Venera nel mondo occidentale, o Veneranda, e Parasceve nel mondo orientale. Suo padre Agatone e sua madre Ippolita, “francesi”, vennero ad abitare a Locri. Il testo di Carmelo Gresti, (Santa Venera, Vergine e Martire, Acireale, 1950) afferma invece che essi si stabilirono ad Aci Xifonia, poco distante da Catania e qui, dove era ancora vivo il ricordo del viaggio di San Paolo, le glorie dei vescovo Marziano di Siracusa e Pancrazio di Taormina, il martirio di Santa Tecla e le numerose conversioni, dopo tanti (trentacinque ?) anni di matrimonio, ebbero il dono di una creatura.

Nel leggendario, già esposto a Catania nelle mostra documentaria dedicata a “Agata, la Santa, La Città”, nel 1998, oltre alle indicazioni sulla vita della nostra santa, sui tormenti che ebbe a subire, sulla sua eroica fermezza, sulle molte conversioni che attuò, si legge anche che in Palermo grande era la devozione nei suoi confronti, che ivi esisteva una chiesa a lei dedicata già nel 1225 e che una contrada portava il suo nome. Ciò si conosceva anche attraverso il “Breve” di  F. Ruffino da Piacenza. Nel 1445, dice l’autore del leggendario, veniva letta a Palermo la vita della Santa, il giorno della sua festa, da un lezionario antico, scritto a penna in carta pergamena, mentre l’antifona veniva letta dal Breviario dell’Arcivescovo Simone di Bologna.  A questo punto è detto che la stessa cosa avveniva anche in altre città ed esattamente a Messina, Catania, Siracusa, Mazzara, Marsala, Modica, Piazza, Castelbuono, Cefalù, Jaci,  Nicosia, Castroreale, Francavilla, Lentini, Monreale, Caccamo, Avola, Bronte, Taormina  ed altre città della Sicilia.

Nel 1494 Palermo ricorse all’intercessione della santa in occasione di una pestilenza; la stessa cosa fece nel 1530. In memoria di tale grazia fu dipinto un quadro, posto sotto l’oratorio della Compagnia della Pace in cui ai piedi della Madonna col Bambino erano dipinti, in atto di supplica a destra Santa Venerra, San Sebastiano, San rocco, Santa rosalia, ed a sinistra, Santa Cristina, Sant’Agata, Santa Ninfa e Santa Oliva.

La vita della santa e il suo martirio si legge anche nel Martirologio Gallicano.

Nel 1609, nel “Martyrologium Romanum  Gregorii XIII Pont.Max. iussu editum”, al 14 di novembre, si legge:”…in Gallia Sanctae Venerandae Virginis: quae sub Antonino imperatore e Asclepiade praeside, martyrii coronam acccepit…” La stessa cosa  in Martyrologium Romanum Gregorii XIII iussu editum auctoritate recognitum editio novissima e Sanctissimo D. N. Benedico XIV.

Nel Messale in die XXVI Iulii, in festo S. Venerae Virginis et Martyris principalis Patronae Floridae civitatis Hyblae, all’oratio ex Messali Siculo anni 1527  “…tribue, quaesumus, ut Beatae Venerae Virginis, et Martyris tuae supplicationibus adjuti, ad coeleste perveniamus collegium”.

Dal Gubernale, storico locale, in un elenco di “Rettori-Procuratori e Confrati di cui si ha conoscenza dal 1498”, riguardante gli aderenti alle varie confraternite presenti nel territorio dell’antica Avola, apprendiamo che in tale data era presente ed attiva una Confraternita di Santa Venera. In quel sito sorgeva anche una splendida chiesa dedicata alla santa Patrona. Nella prima metà del XVI° sec., il Beato Antonio Etiope, schiavo negro del massaro di Avola Giovanni Andolina, “era solito venire alla chiesa  di Santa Venera nel quartiere delle Marche per confessarsi e comunicarsi e per alimentare la lampada perenne all’altare di San Giacomo Apostolo: non vi faceva mancare i fiori e riuscì ad arricchirlo di un paliotto e di un paio di candelieri”( Salvatore Guastella, Fratello negro. Antonio di noto detto l’Etiope, pag. 38).

Documento della devozione del popolo alla sua Patrona sono “dudici para d’occhiali d’argento” la cui presenza è accertata dal vescovo di Siracusa Giovanni battista di Torres Osorio, durante una delle sue visite (1614).

A tal proposito è bene ricordare che il territorio di Avola appartenne alla Diocesi di Siracusa  fino al 1844, anno in cui fu costituita la sede Vescovile di Noto.

Frequenti processioni venivano fatte anche verso la “grotta di Santa Venera”, una grotta scavata ai piedi del Castello del vecchio abitato di Avola, lungo il pendio sud della cava di Santa Venera; vi si entrava dall’interno della chiesa attraverso una porta che regolarmente era  chiusa  a chiave. Una ordinanza vescovile del 1654, pubblicata da Antonino Caldarella in “Santa Venera”, decreta che a questa grotta , nel periodo di festa, accedano separatamente uomini e donne, in orari diversi e resi manifesti, sotto pena di scomunica latae sententiae.

Sulla chiesa di Santa Venera nell’antica Avola abbiamo poche e frammentarie notizie, anche se Vito Amico, nel suo “Dizionario Topografico della Sicilia”, dice che era in stile gotico. Della chiesa restano alcuni frammenti e il rosone in pietra bianca artisticamente lavorato. Della data di costruzione della chiesa però non abbiamo notizia, essa non è menzionata nelle colletterie vaticane del 1308-1410, ma doveva esistere e essere attiva nel corso del XV° sec.

Ben diversa è la situazione della chiesa dedicata alla Patrona nel nuovo sito urbano, dopo il terremoto del 1693. Dovuta al disegno di Angelo Italia, fu eretta ed abbellita per volontà dei cittadini tutti che, nelle varie vicissitudini, alla Patrona sempre si erano rivolti e si rivolgevano implorando grazie di ogni tipo. A parte i casi di gravi malanni collettivi quali la siccità, terremoti, colera etc… in cui il fercolo della santa veniva portato in processione per le vie della città, si ricorreva ad essa in particolare per problemi di salute quali le malattie legate agli occhi, alla cute, al seno, al parto.

Si può dire che tutta la chiesa dedicata alla Patrona pulluli di ex voto, anche se non evidenzia compiutamente i benfatti che nel tempo gli avolesi le hanno tributato. La chiesa era ancora in costruzione e già si provvedeva ad abbellirla; assieme alla matrice, non solo vide cominciare da subito i lavori di costruzione e sistemazione delle suppellettili salvate dal terremoto, ma si adoperò a commissionare opere di degno rilievo fra cui lo stesso simulacro della Santa (R. Abbate- E. Puglisi Caudullo), il quadro con la “Predica di Santa Venera” attribuito a Costantino Carasi,, l’Ostensorio opera dell’argentiere Vincenzo Catera, l’organo commissionato nel 1754 a Donato del Piano di cui si fa menzione nel libro dell’amministrazione della chiesa per essere stato venduto ai padri cappuccini nel 1904 (un nuovo organo intanto era stato commissionato al Polizzi nel 1903), il carro per la festa solenne.

Abbiamo, a tal proposito la descrizione del carro del 1857, fatta da Giuseppe Bianca nel suo “Descrizione delle feste triduane di Santa Venera solennizzate in Avola nel mese di luglio del 1958”, che parla di una macchina monumentale, tanto grande da indurre il Gubernale ad individuarla in quella di Santa Rosalia di Palermo, qui riportata, inserita nei suoi Annali Avolesi.

Inoltre, a ben guardare, dappertutto ci sono i simboli del martirio della Santa e della dedica a lei del tempio. Sulle chiavi di volta delle arcata, per esempio, scolpiti in pietra bianca locale, troviamo sulla destra la corona della vittoria e l’elmo che ricorda quello infuocato che le fu posto sul capo, e , sulla sinistra, il vassoio con gli occhi, simbolo della riconquistata vista degli occhi e del cuore. Troviamo inoltre, sul pulpito, ancora i simboli riguardanti questa volta la palma con le tre corone del martirio, della verginità, della capacità di convertire i popoli.

Molte sono inoltre le raffigurazioni della santa, ma tutte hanno in comune le caratteristiche suddette, che l’avvicinano, fra l’altro a quelle di altre sante. Noi  abbiamo avuto l’opportunità di avere fra le mani documenti, soprattutto stampe, d’epoca che ritraggono la Santa; importante ci è parsa in particolare una stampa di Cosimo Adamo di Pietraperzia, del 1830, che propone la”Effigie di Santa Venera Vergine Martire e Predicatrice, unica Padrona del Comune di Avola” commissionataa dalla deputazione per i festeggiamenti in onore della Santa che, con il crocifisso in mano, è posta quasi a difesa della città. E’ importante, in questa stampa, notare come sia ben visibile sullo sfondo la chiesa matrice con la sua bella cupola in evidenza.

Sorella di questa stampa è un’altra pure di Santa Venera, commissionata però dalla deputazione di Acireale, per questa città. Acireale infatti, come abbiamo avuto modo di citare, è fra le città menzionate dal leggendario e, di suo, vanta i natali della Santa. Venera è infatti Patrona anche della città di Acireale che sin dal XVI° secolo ha festeggiato come precettiva la festa in suo onore.

Il 26 luglio 1997, per volontà del Vescovo Giuseppe Malandrino, oggi Vescovo di Noto, in occasione dei solenni festeggiamenti in onore della Santa cittadina e patrona della città di Acireale, si è attuato un gemellaggio fra le città di Avola e Acireale: un gemellaggio che voleva essere sociale, religioso e politico insieme. Una delegazione, partita da Avola con il Vescovo pro-tempore, Salvatore Nicolosi, e personalità del mondo politico, è stata accolta e festeggiata dalle autorità locali sotto i gonfaloni delle due città gemellate. Si attende però ancora di poter ricambiare tale iniziativa con un’altra di pari impegno e valore.

E’ stata una manifestazione di grande rilievo che, all’epoca, voleva predisporre alla riflessione nel primo anno di preparazione al grande giubileo del 2000.

Nel corso del ‘900 due volte la statua è stata portata in processione ad Avola antica: una prima volta nel 1925, in occasione del Congresso Eucaristico e una seconda volta nel 1993, a tre secoli di distanza dal terremoto che distrusse la vecchia città.

Oggi non si usa più, ma fino alla metà del secolo appena trascorso, si usava andare a sciogliere i voti di ringraziamento per le grazie ricevute, vestiti di verde con ornati di rosso. Tali erano e sono i colori della santa. Circa il patronato, esso è riconosciuto ufficialmente sin dall’anno 1614, come si evince dagli atti della Visita Pastorale del Vescovo Torres di Siracusa, dove Venera è detta “Patrona dictae terrae” ma ha radici molto più lontane, se è vero che alla sua intercessione si fa ricorso anche nel 1602 in occasione di una siccità. Tuttavia bisogna aspettare il 1823, il 22 luglio, per considerare precettiva la festa in onore della Santa, da celebrarsi il 26 di luglio. Così era stato da sempre e così continuava ad essere per tradizione, ma il 26 di luglio spesso cadeva di giorno infrasettimanale e il popolo,che aspettava la ricorrenza per mettersi a festa e partecipare alle fiere paesane, non sempre era libero dagli impegni di lavoro, come avrebbe voluto. Per dare quindi maggiori possibilità e un lustro più solenne alla festa della Santa Patrona, nel 1905 viene concessa al Vescovo di Noto la facoltà di decidere la data della festa che viene così spostata all’ultima domenica di luglio. Da allora, e non come dice  il Gubernale dal 1901, la festa si celebra in tale data.

CANZUNI PPI SANTA VENNIRA di Giuseppe Schirinà

CANZUNI PPI SANTA VENNIRA

di Giuseppe Schirinà

Sintiti amici: vi vogghiu parrari
ri na cosa impurtanti, stamatina.
Spero ca u Celu mi vogghia aiutari
spero r’aviri paroli affinati
pinseri acuti, puri, celestiali
picchi’ ri na santuzza agghia parrari
co’ Celu avia ‘nta menti e ‘nta lu cori.

Nnun è ri tutti parrari ro Celu,
ci voli firi, menti e lingua sciata
pi putiri ‘nta 1’anima arrivari
fari canciari ‘ntisa e cummirtìri.
Vennira avia sti doni ri Diu
li misi ‘n mostra e tutta ‘lluminau
la genti ca lu so verbu sintiu.

La genti n’è scrurea, ma va siri
pigghiata ccu li so giusti maneri.
Rissi ca Ddiu ‘ncelu è patri a tutti,
ca tutti semu comu frati e soru :
n’ama vuliri beni ‘nta sta terra
senza rancuri e senza fari verra.

La genti ca sintia, si cummirtia
si v atti ai a e poi… nun priaia
li dei comu prima si facia
ma Cristu u Signuri ca la cruci
pi nui patiu, Agneddu mansuetu,
mentri i potti ro Celu ni rapia.

Parrannu priricannu e poi facennu
miraculi ‘mpurtanti a cu priaia
ci la Sicilia fora si ni iu.
Stesi ‘n Calabria, Puglia e poi ancora,
sempri purtannu la luci ri Diu
junsi finu ‘nta terra ri Romagna.
Unni passaia spuntaia lu suli,
cariinu statui ri li dei antichi
e supra tutti, comu fatta r’oru,
splinnia a Cruci i Cristu ca è trisoru.

Trisoru picchi’ è signu ri putenza
r’ amuri prima ri ogni autra cosa,
‘ppi nui ca stamu ‘fila stu munnu nfami
unni tuttu è sciarra e viulenza,
nun temi lu martiriu cu 1’abbraccia
ch’ è certu ri viriri i Diu la faccia.

Lu cunsuli rulmanu ‘i nomu ‘Ntoni
sintennu re so’ sgherri assai cuntari
ri na picciotta ca traria li dei
vosi vinìri a sintilla parrari.
La vitti: era assai bedda, comu ‘n suli,
e subitu si misi ‘n cardacia.
Parrannu calmu sa vulia accattari.
S’idda vulia, sa putia spusari.
Ci rissi sutta vuci impappinatu:

Spusa mia risplendenti
comu a stidda ro matinu
tu mi potti gioia e paci
tu mi guida lu caminu.

Iu ‘ppi tia nun agghiu abbentu
iu ti vogghiu me regina,
fa cuntentu chistu cori,
chistu cori, stamatina.

Vennira si trubhau a sti paroli:
“Viri ca ti vo’ fa’ tintinniari?
Sta fermu, cori miu, vadda lu Celu!”
Vutau 1’occi beddi comu stiddi
versu lu Celu riguardannu Diu.
Allura cu’ gran forza e veemenza
“No, nun neu lu Diu me Signuri,
e spusa tova nun mogghiu mai siri.

Fatti vattiari, ciu’ nun’ aspittari
se no macari ti ni poi iri” .

‘Mpittatu, russu ‘ppaffruntu patutu
‘Ntoni ittannu vuci l’amminazza:
suppliziu, ferru e focu: mancu gn’itu
sanu ha ristari a chista traritura
ch’ è bedda si’ , ma puru jttatura.

A picciuttedda si misi a trimari
pinsannu ca la carni è dibuledda:
lu stissu Cristu, pinsannu a la morti
surau sancu ‘nta l’ortu ‘aulivi.
Ma lu spiritu c’avia era putenti,
ciù dduru assai r’azzaru timpiratu.
“Aiutimi Signuri a suppurtari
chisti trummenta ca mi vanti fari”

Cussì addaveru fu. N’elmu ‘nfucatu
ci misinu ‘nta testa ‘p’ammazzalla:
nenti ci fici, anzi s’ astutau.
Allura la ‘ncruciaru manti e peri
‘nterra cu ciova lonchi comu aùti:
idda cuntinuaia a priricari
ludannu Diu ch’ è nostru Signuri.

Ci misinu poi ‘nmassu supra a panza
pinsannu: ri sicuru chistu a scaccia.
Mancu sta vota: idda si susiu
picchi’ cu ridda c’era sempri Diu.

‘Ntoni pensa: sta streca allura a jettu
‘nta na caurara ri pici ugghienti.
Nenti ci fici: Vennira paria
ca ‘nta na vasca u bagnu si facia.
I suddati mittiinu ligna rossi
pi’ fari l’acqua ciù bugghienti ancora.
Vennira bedda comu l’aurora
allura ripigghiau a priricari
e tutti si taliainu ‘nta l’occi pinsannu:
Com’ è possibili stu fari?

‘Ntoni ca nun criria a li paroli
vasi viriri tuttu ri pirsuna;
ma ‘ncocciu i pici c’arrivati ‘lira facci
e ci livau la vista ri l’occi:
vuci, strida, bestemmie, santiuna.
Nenti ri fari: ‘n l’ aiutaia nuddu.
Pi ccui ciancennu: Vennira, gridau,
salvimi tu, rirammi là me vista,
iu mi vattiu, criru a lu to Diu
se chiddu ca tu fai è a nomu sou.

Vennira, pietusa, accunsintiu,
ci resi a vista e poi lu vattiau.

Ma i sgherri sunti sgherri, razza tinta,
‘nta tutti i posti ri lu munnu i trovi
e guai sempri avirici a chi fari.
Vennira priricannu si spustaia
ri na cuntrada all’ autra; ‘ncappau
ri siri ‘ntisa re sgherri ri Temu
firuci re, paganti e senza cori:
“Cristiana? a lu dragu!”, dicritau.

U dragu era ‘na bestia infernali
ca trimari facia li paisi.
Vennira ‘n si scantau, priricannu
e cantannu li lodi a Diu Signuri
cu lu so peri all’antru s’abbiau.
Ma lu dragu virennila scappau
jttannu focu e fumu ri li naschi
e poi ccu ‘n forti tronu scumpariu.
Temu, lu re, sulu tannu capiu
ca ‘nta sta ‘mprisa c’era a manu i Diu.
Si fici vattiari e s’inniiu.

Vennira ripigghiau a camminari
priricannu e priannu lu Signuri
e finu in Gallia vosi arrivari
purtannu a tutti paroli r’amuri:
Lu Signuri ro Celu n’à criatu
e semu tutti frati e soru ‘nterra
vulemini assai beni e se ppi casu
c’è quaccunu ca sgarra e versu a via
ro mali ppi’ sbintura è trascinatu,
aiutamulu a nun fari piccatu.

I cosi giusti fanu ‘mpacciu a tanti
ca nun li vonusentiri o pinsari.
Ravanti o tribunali fu puttata
comu na tinta latra scialarata.
Asclepiu rissi: “La testa tagghiata
merita cu strapazza i nostri dei”.
Vennira va sirena, mentIi ‘ncoru
ri Ancili si forma attornu a idda.
Poi, tutti ‘nsemi ‘ncelu si ni
vanno li lodi ro Signuri cantannu.

Vennira Santa, voluta ri Diu
patruna e regina i stu paisi
rammi sempri la razia ri cantari
li lodi prima i Diu e poi ri Tia
e senti ora chiddu ca ti ricu,
ca nu ‘nsignaru li nostri antinati:
teni luntanu fami pesti e berra
e tirrimota spavintusi e forti
ca sunu veri piaghi supra a terra.

 

Amici IDei, vi vogghiu sulu riri
ca chisti cosi su storii veri;
ci voli stilli firi pi’ crirìri,
li casi ri lu Celo ‘ntirpritari.

E s’ occabbota, ca ommini semu,
tintinniamo ‘mpocu, eco’ piccatu
tanto ppi ripiliari ni mittemu
a ridda ricurremu e n’ affiramu
a la santuzza nostra ca sapiu
rapiri a strata pp’ arri vari a Diu.

 

(Composta dall’autore in occasione del 75° anniversario dell’erezione della Parrocchia di Santa Venera in Avola e recitata dall’attore Antonio Caldarella in piazza Umberto Io il giorno 28 luglio 1996, al passaggio del simulacro della Santa.